A cavallo del 1900 in Francia scoppiò un conflitto politico e sociale che coinvolse oltre la magistratura, l’Esercito, la politica, i ministri e il mondo intellettuale oltre che la stessa popolazione: l’affaire Dreyfus. Senza entrare nei dettagli della vicenda storica è evidente che il caso rappresentò la punta dell’iceberg delle tensioni socio politiche e delle incoerenze del sistema giudiziario e militare francese di quel tempo.
Ebbene, lungi da me l’illusione che una questione di logistica e trasporto, come il caso di BRT ed altri ancora, possa nell’Italia del terzo millennio analogamente contaminare il dibattito nazionale, al contrario è stimolante intercettare alcune riflessioni che vanno oltre lo specifico caso e i suoi profili giuridici per abbracciare considerazioni anche qui di carattere politico, economico e sociale.
Il provvedimento di messa in Amministrazione Giudiziaria della BRT con le indagini di natura penale su numerosi funzionari aziendali e imprenditori, oltre la “temporanea funzione di tutoraggio del consiglio di amministrazione della società” rivela, come nel caso dell’affair francese, la condizione di debolezza del sistema politico ed economico nazionale, oltremodo quello della logistica e del trasporto.
Del resto procedimenti analoghi, anche intrapresi successivamente, sono in corso presso altre aziende di grandi dimensioni sempre nel settore della logistica e della grande distribuzione, per non parlare di precedenti casi (addirittura) di sentenze passate in giudicato per accertata riduzione in schiavitù di lavoratori in un settore, l’autotrasporto, che in Italia nel 2022 ha rappresentato l’8% del PIL, a fronte del 5,2% dell’automotive e del tessile/alta moda.
Negli ultimi 30 anni dunque il settore dell’autotrasporto e della logistica ha dovuto convivere con i continui e puntuali interventi della Magistratura, talvolta devastanti, volti a contrastare irregolarità, organizzazioni e addirittura disegni criminosi ma soprattutto verosimilmente a colmare i vuoti lasciati dalla politica nei vari settori della vita del Paese, soprattutto nel sistema economico e industriale.
In questo caso, come ho accennato in precedenza, oltre al “rimprovero” penale nei confronti dei presunti autori e complici del sistema la Magistratura ha, a mio avviso correttamente, garantito la continuità aziendale non limitandosi alla interdizione del management coinvolto. Infatti ha voluto implementare un processo riorganizzativo con figure esterne e “un sistema di controllo interno rafforzato, istituendo una funzione Procurement…. adottando nuove procedure di selezione e di contrattualizzazione dei fornitori di servizi di facchinaggio e trasporto che prevedono stringenti standard di comportamento ed efficaci presidi di controllo e monitoraggio sulle terze parti, diretti a garantire una puntuale valutazione tecnica, economica e reputazionale dei fornitori, nonché la predisposizione di un albo dei fornitori”, come riportato nel provvedimento di cessazione dell’Amministrazione Giudiziaria”.
Alcuni mesi dopo, l’effettiva adozione strutturale di queste procedure aziendali è stata giudicata adeguata a garantire il rispetto delle norme e così soddisfacente per la Magistratura al punto da revocare l’Amministrazione Giudiziaria, anche per l’atteggiamento collaborativo dell’azienda.
Ma quello stesso cambio di rotta da parte di quest’ultima ha anche dato la stura ad una corposa serie di comunicazioni unilaterali di disdetta contrattuale a piccole imprese di trasporto, evidentemente non conformi ai nuovi requisiti di selezione.
Per molte di queste aziende si tratta di una svolta drammatica e difficilmente sostenibile, ma purtroppo questo frangente non prevede l’intervento risolutivo ed autorevole della Magistratura, (figuriamoci del Governo!) bensì l’apertura di tavoli di concertazione a posteriori, nell’obiettivo di mettere una pezza ad un buco in cui probabilmente i più furbi e strutturati avranno i minori danni o i maggiori benefici.
Del resto ci corre l’obbligo intellettuale di saper distinguere due diverse osservazioni.
Da una parte è lecito ritenere che le improvvise azioni correttive di risoluzione contrattuale notificate da BRT non possano e non debbano colpire indifferentemente le piccole aziende senza offrire reali strumenti di soluzione. Dall’altra si impone la ragionevole ammissione che le nuove procedure di affidamento dei servizi di trasporto adottate dall’azienda non siano affatto fuori luogo laddove fossero concessi a i propri fornitori tempi e modalità di adeguamento.
Ma su questa condizione di impreparazione e di debolezza delle piccole aziende e dell’intero sistema si apre una doverosa analisi delle responsabilità.
E’ evidente che il primo talvolta inconsapevole responsabile sia proprio il piccolo imprenditore che troppo spesso ha concentrato il significato di questo termine nel cognome scritto nel parasole del camion o sulla carta intestata, trascurando l’assoluta verità che nell’attuale sistema economico esistano buone pratiche e regole che valgono per tutte le aziende e da cui non sono esonerate quelle di trasporto che siano artigianali e monoveicolari. Il rispetto di quelle regole e best practice rappresentano un onere economico ed organizzativo difficilmente sostenibile per le micro imprese.
Del resto l’obiettivo di percepire un reddito annuo assimilabile a quello di un autista regolarmente retribuito non può essere ritenuto sufficiente a qualificare l’imprenditore pur di dimensioni artigianali.
Sotto questo aspetto indubbiamente nella categoria dei consulenti commerciali alberga una quota di complicità con l’unica attenuante di essere travolti dalle incombenze di carattere fiscale e normativo per non poter svolgere il ruolo di reale consulenza che gli studi, il titolo e la deontologia professionale avrebbero preteso.
In questo ordine di responsabilità bisogna ammettere di dover contemplare parte delle associazioni di categoria, che in alcuni casi oggi si strappano le vesti di fronte alle disdette ma che non hanno saputo allertare i propri iscritti (almeno quelli) sui rischi della dipendenza dall’unico cliente o dalla sua prevalenza sul proprio business. Appare evidente che sia mancata o sia stata poco incisiva presso gli associati la proposta e la predisposizione di forme di diversificazione ed aggregazione, al contrario della moral suasion usata con ottimi risultati nel caso dei consorzi di acquisto collettivo di servizi.
Ma ad una gran parte dei Committenti, passando per la sub-committenza fino al privato cittadino acquirente di prodotti online, compete la maggiore responsabilità di questa enorme distorsione socio-economica.
Del resto i Committenti, se non gli stessi sub committenti, scientemente hanno selezionato più o meno direttamente piccoli vettori, se non fantasiose soluzioni cooperative, proprio per il beneficio inverso: non registrare rischi di dipendenza da fornitori più strutturati con maggiori quote di servizio e rappresentare per il vettore un cliente irrinunciabile ad ogni costo, anzi ad ogni tariffa e condizione!
Professionalmente ed elegantemente si chiama Risk Management mentre la recente letteratura sulla Sostenibilità ESG parla di “Esternalizzazione di costi”.
Sotto questo aspetto appare interessante ricordare quanto disposto dall’art. 2359 del C.C. in materia di società controllate laddove recita che: “sono considerate società controllate le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”.
Vista l’evidente sovrapponibilità ai casi di aziende di trasporto che operano esclusivamente (o quasi) per un solo cliente, in un Paese normale diversi Committenti avrebbero passato un brutto quarto d’ora in caso di insolvenza e/o fallimento di un proprio vettore e chissà non emerga qualche analogia anche in queste circostanze.
Per tale ragione i committenti più virtuosi nei propri processi di qualifica richiedono ai vettori di indicare i ricavi dell’ultimo anno/triennio al fine di valutarne il massimo volume di commessa assegnabile, in genere non superiore al 35% del fatturato dello stesso fornitore.
Ma proprio perché questo non è un Paese normale nella nutrita sfilata dei responsabili emergono in tutta la loro fragranza e flagranza il disinteresse e l’incapacità della politica e delle Istituzioni. L’affair BRT e gli altri analoghi rappresentano la colpevole mancanza di volontà politica di definire una visione del sistema logistico e infrastrutturale nazionale, controllare l’applicazione della normativa vigente per il settore ed implementare revisioni/riforme compatibili con le norme comunitarie ma capaci di recepire linee guida necessarie ad un esercizio del trasporto nella legalità e in compliance con la tanto decantata Sostenibilità ESG.
Al netto dell’atavica inadeguatezza infrastrutturale su tutti i fronti della mobilità (ma quella è un ‘altra storia) il fatto che nel caso in questione tali linee guida siano state considerate applicabili e necessarie dalla stessa Magistratura ne rileva il carattere di assoluta legalità e rappresenta la cifra della colpevole latitanza delle Istituzioni e degli organi di controllo nell’eseguire le norme esistenti e nell’adeguarle all’evoluzione del Mercato.
Studi recenti certificano che il settore dei trasporti e della logistica cresca costantemente sia per la ormai diffusa globalizzazione del sistema industriale che per lo sviluppo dell’E commerce. In tale contesto evolutivo emerge la concentrazione dei traffici e delle commesse su aziende di grandi dimensioni sempre più verticalizzate nelle modalità di trasporto ma contemporaneamente rivolte all’utilizzo di piccoli vettori per la loro flessibilità e disponibilità.
Nel caso di BRT stiamo parlando di un’azienda che impiega direttamente e indirettamente circa 30.000 addetti ed aziende, pertanto la conformità e la Sostenibilità della relativa filiera riveste un carattere sociale prima che economico. Lo stesso ordine di numeri riguarda altre aziende similmente coinvolte in vicende giudiziarie analoghe: parliamo di diverse decine di migliaia di persone!
La pluralità delle responsabilità, delle criticità e delle aree di intervento necessarie che è emersa in questa sintetica seppur personale analisi, suggerisce le ragioni per cui, come nel caso Dreyfus, la vicenda BRT rappresenti la punta dell’iceberg di una filiera vitale per l’economia e la tenuta sociale del Paese ma profondamente e inevitabilmente malata, in pratica un‘ EMERGENZA NAZIONALE.
La Magistratura ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla questione mentre si registrano segnali di cambiamento anche in alcuni settori nel sistema produttivo e industriale.
Al contrario tutto tace sul fronte delle Istituzioni al netto di promesse al ribasso, aperture di tavoli e comparsate da social: i problemi sono annosi e le responsabilità possono essere facilmente scaricate sui Governi precedenti nell’obiettivo di lasciarli elegantemente a quelli successivi.
Tutti responsabili, nessuno responsabile!
Natalino Mori, Presidente Fai Marche.